La pandemia e i diritti delle donne
“Non dimenticate mai che ci vorrà una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano messi in discussione. I diritti delle donne non possono mai essere dati per scontati. Dovete rimanere vigili per il resto della vostra vita”. Un’affermazione di Simone de Beauvoir scritta molti decenni fa, più che mai attuale e che ben sintetizza la situazione in cui si trovano i diritti delle donne oggi in piena emergenza sanitaria ed economica.
Benché le donne svolgano un ruolo centrale in campo medico, infermieristico, nella ricerca o nel lavoro di cura dentro e fuori le mura domestiche, sono poco presenti ai tavoli di discussione nei quali si decide che risposte dare alla crisi. Parlare di diritti delle donne vuol dire anche riflettere finalmente su come riconoscere in maniera giusta e paritaria quei lavori svolti prevalentemente da donne. Significa rivalutare il lavoro di cura non retribuito, ma anche riconoscere il lavoro svolto in quei settori per i quali l’home office non è possibile, dal commercio al dettaglio al settore delle pulizie. Lavori indispensabili ma spesso malpagati, nei quali le donne rappresentano più del 70% delle persone impiegate nel settore della vendita, quasi il 90% in quello delle pulizie e oltre l’80% in quello delle cure sanitarie.
Ci sono poi tutte quelle persone che lo stato di emergenza ha confinato a casa: ciò che potrebbe essere un’occasione per suddividere in maniera paritaria il lavoro domestico rischia di rivelarsi un consolidamento di ruoli tradizionali. Già con la crisi finanziaria del 2008 si era visto come le crisi economiche hanno un impatto negativo sulla parità fra i sessi mettendo a nudo le disuguaglianze sociali e di genere. L’aumento della disoccupazione sarà più pesante per chi svolge lavori precari, su chiamata o a tempo parziale e le conseguenze sociali saranno più gravi per persone con bassi redditi, settori nei quali troviamo molte donne.
C’è un silenzio assordante sulle conseguenze per le donne dell’emergenza sanitaria, sociale ed economica. Eppure molte donne si sono fatte sentire, inizialmente con discrezione perché c’è chi ci dice che la politica di genere di fronte a questa crisi non è prioritaria, che prima si deve affrontare l’emergenza sanitaria, poi si devono risolvere i problemi quotidiani durante la quarantena, infine va gestita la ripresa delle attività. Come se tutto ciò non riguardasse anche noi donne.
Lasciamo quindi da parte la discrezione e rivendichiamo la nostra presenza. L’abbiamo fatto l’anno scorso con lo sciopero delle donne e dobbiamo farlo anche oggi, perché senza noi donne non si va da nessuna parte, senza la nostra partecipazione non ci sarà un domani diverso. Per ripartire dopo la crisi dobbiamo costruire un contratto sociale per contrastare precarietà e disuguaglianze, partendo da salari dignitosi e parità salariale, dalla riconsiderazione dei lavori essenziali anche a livello salariale, dal riconoscimento del lavoro di cura pure a livello di assicurazioni sociali e il lavoro dei famigliari curanti. Proposte alla cui elaborazione devono poter partecipare donne e uomini, solo così avremo una società più giusta e senza stereotipi di genere.
Articolo apparso sul Corriere del Ticino il 30 aprile