“Non vedo nulla di blindato, occorre credere al rossoverde”
Dopo una vita politica a Berna si appresta a tornare in Ticino. È pronta?
«Sì, lo sono. Nei sedici anni trascorsi a Berna ho accumulato esperienza e tessuto contatti a livello nazionale che possono essere utili al Ticino e alla sua popolazione. Il Ticino è il mio cantone e sono profondamente attaccata a questa realtà».
Il rientro risponde anche a un calcolo politico?
«Un'elezione non si può mai ritenere scontata, ma penso di poter avere delle buone possibilità di essere rieletta al Consiglio degli Stati al di là dello scarto di 46 voti del 2019. L'area progressista e le donne che mi hanno sostenuta in maniera importante, vogliono essere rappresentate alla Camera dei Cantoni, per questo sono fiduciosa che sarà possibile avere una candidatura forte per il seggio agli Stati. Inoltre in questi anni ho portato avanti diverse proposte, anche nell'interesse del Cantone e della Svizzera italiana, talvolta lavorando a stretto contatto con il Governo cantonale, penso ad esempio al periodo della pandemia per fare riconoscere da Berna la famosa finestra di crisi che poi abbiamo ottenuto, con i relativi aiuti federali».
L'elezione in Governo la renderebbe formalmente una politica di professione, ma di fatto non lo è già oggi?
«Oggi chi è agli Stati non ha grandi margini di manovra professionali, ci sono le sedute plenarie e i lavori nelle commissioni, io faccio parte di tre di queste e di una certa importanza: Sicurezza sociale, Formazione educazione e cultura e Finanze. E altre ancora. Se si vuole fare tutto questo con serietà non rimane molto tempo».
Qual è stato il maggiore successo del quale va fiera nel percorso tra Consiglio nazionale e degli Stati?
«Sono diversi, quelli che mi stanno a cuore. Penso al settore sanitario e la recente approvazione dell'iniziativa popolare per cure infermieristiche, frutto di un lungo lavoro che ho condotto con l'Associazione svizzera delle infermiere e degli infermieri e che ora si sta concretizzando e per la quale sono stata anche in prima linea come relatrice della legge con le prime misure. Sono soddisfatta del recente sì ad alcune mie proposte contro la violenza domestica e di genere. Ma anche il lavoro che ho svolto per una maggiore presenza delle donne in politica, durante la presidenza del Consiglio nazionale. Una carica che ho ricoperto con riscontri positivi e che mi ha permesso di dare risalto e diffusione alla lingua e cultura italiana, anche conducendo i dibattiti in italiano. Poi, mi lasci concludere con un obiettivo per il quale invece mi sto impegnando: ridurre l'effetto dei premi di cassa malati sul reddito. Un obiettivo nel quale credo fermamente».
E la delusione più cocente?
«Cito due votazioni popolari perse: quella per una cassa malati pubblica nel 2014 e, recentemente, l'aumento dell'età di pensionamento per le donne a 65 anni. Il primo tema credo tornerà. Sulla seconda occorrerà essere vigili».
Medico di formazione, è da sempre attenta alle dinamiche dei costi della salute. Eppure il problema rimane. Ovviamente non è colpa sua ma del «sistema». Ciò è più deludente o più frustrante?
«Faccio miei entrambi gli stati d'animo. Deludente è il continuo aumento dei costi di cassa malati che pesa enormemente su chi fa fatica ed è fragile, sulle famiglie, sui pensionati. Frustrante è che gli interessi contrapposti delle lobby siano riusciti a bloccare riforme urgenti, penso ad esempio al prezzo dei medicamenti. Su questo tema tutti dicono che occorre fare qualcosa, ma quando si tratta di passare dalle parole ai fatti prevalgono altri interessi».
È innegabile che la politica che si fa a Berna è molto diversa (per la profondità sui temi) da quella che si fa in Ticino. Quindi si può dire che, se eletta, farebbe un passo indietro?
«Assolutamente no. La mia disponibilità a candidarmi nasce da un progetto nel quale credo molto, l'alleanza rossoverde. In Ticino c'è una necessità impellente di unire le forze progressiste di sinistra per rispondere ai problemi del Paese e dei cittadini più deboli. Tutto questo va realizzato sul medio-lungo periodo e non può essere disgiunto dalle problematiche inerenti l'ambiente e il territorio. Sono due necessità da coniugare e affrontare. È quanto faremo noi e i Verdi. Senza questo progetto io non avrei dato la mia disponibilità».
C'è poi il tema della carica vacante agli Stati e il rischio di una doppia votazione tra maggio e ottobre. Come si pone di fronte a questo tema?
«Mi sono posta il problema. È una questione che non va sottovalutata, ma neppure enfatizzata e strumentalizzata. Nel mio caso se il posto dovesse rimanere vacante sarebbe per due sessioni. È già successo con deputati di altri Cantoni, e agli Stati il lavoro di certo non si fermerà. Sarebbe una fragile democrazia se l'assenza di una persona ne determinasse il funzionamento».
Torniamo in Ticino e in casa PS. Nelle ultime settimane, in vista del congresso di metà novembre, tengono banco polemiche e duelli. Vive male questa situazione che la vede al centro ma «costretta» al silenzio?
«Costretta al silenzio non direi proprio. In effetti ne sto parlando serenamente, ma non mi piacciono le polemiche sterili. Ho sempre privilegiato parlare di contenuti, di proposte politiche piuttosto che fare discussioni sui nomi. Ed è quanto sarà chiamata a fare la base socialista a metà novembre al congresso. Si tratterà di scegliere la linea politica per le cantonali del 2023, confermando il progetto che guarda ben oltre il 2 aprile, e come conseguenza di questo primo passo scegliere i candidati».
Il PS sarà chiamato a ratificare la strategia che vede schierati un candidato giovane e uno esperto (lei). Non le crea imbarazzo doversi fare blindare per avere la «certezza dell'elezione»?
«La strategia è stata decisa già da due organi del PS, il Comitato cantonale e la Conferenza cantonale alla quale potevano partecipare tutti gli iscritti. I presenti hanno deciso a grande maggioranza di dare spazio ai giovani come motore di cambiamento in un momento storico che chiede anche una loro presenza attiva dal profilo sociale e ambientale. Non vedo nulla di blindato e non credo che la strategia del PS sia stata costruita sulla mia persona. Molte sono state le persone sentite, molte coinvolte ben prima di me, e la strategia è stata decisa ben prima dei nomi. Se avessi cercato via sicure e, come ipotizza lei, "blindate", non avrei fatto il percorso che ha contraddistinto la mia carriera politica, compresa la candidatura agli Stati nel 2019. Ho già affrontato elezioni con sfidanti forti e non ho timori. Credo alle idee e ai programmi».
Non sarebbe stato meglio e più chiaro dare vita a una votazione aperta, senza mettere nell'angolo l'altra aspirante, Amalia Mirante. Non ha mai pensato di dire: «Siamo aperti, candidate anche Amalia»?
«Ogni iscritto al PS si poteva candidare, e poi il Congresso avrà l'ultima parola. Ma un partito deve avere una linea coerente, partendo dai documenti programmatici e dalla piattaforma rossoverde. Non sarebbe comprensibile se si cambiasse di punto in bianco l'impostazione politica».
Ha un messaggio per Mirante?
«Ritengo che sia importante il confronto sulle visioni politiche e sulle progettualità e credere nell'alleanza con i Verdi».
Il clima si è fatto pesante, e il rimprovero di taluni è che lei sia partecipe della strategia della copresidenza del PS che tende a favorirla. Solo malignità tipiche del piccolo (e talvolta) astioso Ticino?
«Vedo un grande entusiasmo per l'alleanza rossoverde della quale al momento si parla poco. Spero che presto l'attenzione sarà su questo e non sui nomi, che sono solo lo strumento del progetto, non l'essenza. Credere poi che l'intera Conferenza cantonale sia stata manipolata non mi pare giusto e rispettoso nei confronti delle 200 compagne e compagni presenti».
Che sensazioni le dà l'idea di potere entrare a far parte dell'Esecutivo cantonale?
«Mi dà forza l'idea di poter contribuire a progetti e proposte concrete. Mi stimola poter contribuire a investire nel futuro, penso alla formazione ma anche all'economia circolare e la cultura. C'è poi un territorio sempre più martoriato dalla speculazione d'ogni genere. Per questi cambiamenti ci vuole la volontà di mediare e di coinvolgere. Ecco come mi porrò se verrò eletta».
Dal potenziale passaggio di testimone tra Manuele Bertoli e lei almeno una variabile cambierebbe. Tornerebbe una donna in Governo. Si sente di dire «sarebbe ora» o magari ha altro da esternare?
«Ho sempre sostenuto che una democrazia è tale se c'è una giusta rappresentanza tra donne e uomini. Una presenza maggiore delle donne, in questo caso negli esecutivi, garantisce visioni più ampie e rafforza i dossier legati alla parità di genere, dalla conciliabilità famiglia e lavoro al fare impresa, e fa bene a tutta la società».
Negli ultimi anni il Governo cantonale ha trovato una dimensione di concordanza, anche con la collaborazione di Bertoli, che ha saputo convivere in un Esecutivo di centrodestra, talvolta concedendo, altre volte ottenendo. È questa la tattica giusta che intende fare propria?
«Il nostro sistema prevede che si lavori assieme cercando dei compromessi quando necessario. L'ho fatto a Berna cercando soluzioni condivise, il che non significa rinnegare principi o idee. Certo, sono pronta».
Intervista a cura di G. Righinetti apparsa sul Corriere del Ticino il 28 ottobre 2022