“Educazione e formazione sono fondamentali”

Eletta in Consiglio di Stato lo scorso aprile, Marina Carobbio affronta il primo anno scolastico come direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport. Sarà l’anno della sperimentazione sui livelli alle medie e di una rinnovata attenzione alla formazione professionale.


Cosa evoca in lei il primo giorno di scuola?

Sono consapevole che è un giorno importante per gli studenti, per il corpo docente e le loro famiglie: segna l’inizio di un anno scolastico, ma illumina anche quei temi che stanno a cuore a tutti gli attori coinvolti. Ricordo il mio primo anno di scuola a Lumino: avevo un grembiule blu a quadretti e alle pareti dell’aula c’erano affisse delle grandi lettere, si partiva con la “A” di albero. Da genitore, l’emozione è forte: si capisce che è una tappa della vita, un rito di passaggio.

Come sono state le prime settimane in governo? Politica di lunga esperienza, siede per la prima volta in un esecutivo.

Intense, perché il DECS è un Dipartimento molto grande: se si contano i docenti, vi lavora la metà dei dipendenti dell’amministrazione cantonale e ogni lettera dell’acronimo DECS contiene un mondo ricco e vasto. Ho già avuto la possibilità di conoscere meglio questi mondi, grazie all’ascolto dei vari gruppi di persone che lavorano in questo Dipartimento per capire le esigenze e le aspettative. Il ritmo è alto anche per l’attività corrente con il Consiglio di Stato, impegnato sulla manovra di rientro finanziario.

Scuola primaria, università, ricerca scientifica: quanto è difficile dare la giusta attenzione a ogni ordine e grado?

C’è un filo che li unisce: l’educazione e la formazione sono settori fondamentali per uno Stato. Occorre avere una buona scuola dell’obbligo che offra pari opportunità a tutti e dia le competenze per affrontare le sfide attuali nel percorso formativo e professionale. La ricerca offre grandi occasioni di sviluppo e non solo in ambito biomedico: è una possibilità di crescita per il territorio, perché se si investe si aumenta l’attrattività economica del Cantone e si creano posti di lavoro per i giovani adulti che si sono formati altrove e avrebbero intenzione di tornare in Ticino.

Parte la sperimentazione sui livelli nelle medie: su quali altri aspetti sono puntati i riflettori nella scuola dell’obbligo?

Sono contenta che parta questo progetto pilota in sei sedi di scuola media, perché il sistema dei livelli è ormai superato e serve un’alternativa. A breve affronteremo anche il tema dell’introduzione del tedesco già in prima media, come deciso dal Gran Consiglio. Qui servono valutazioni accurate, perché la griglia oraria è già carica e il passaggio dalle elementari alle medie è delicato. Poi c’è il messaggio sulla scuola dell’obbligo, presentato al Consiglio di Stato dal mio predecessore Manuele Bertoli a fine legislatura, che prevede inserire sotto un unico tetto la scuola dell’obbligo.

Ha dichiarato che la sua attenzione sarà per la formazione professionale.

Sì, questa formazione è sullo stesso piano delle scuole medie superiori e dunque non una scelta di ripiego, perché offre un percorso formativo e sbocchi lavorativi di alto livello. Sto riflettendo anche sulla necessità di promuovere nuove professioni legate alla transizione energetica, alla sostenibilità, all’economia circolare, ma anche su quelle “vecchie” da aggiornare alla luce dei bisogni emergenti.

Perché a Sud delle Alpi il sistema duale sembra non fare così presa?

Deve passare il messaggio che imparare un mestiere e nello stesso tempo seguire una formazione è un’esperienza arricchente. Ci sono però delle criticità a cui prestare attenzione: i giovani non sono solo forza lavoro e la formazione deve insistere di più sulle conoscenze generali. Con i progetti Più duale e Più duale PLUS si sono aumentati i posti di tirocinio; quest’anno la campagna di collocamento sta andando molto bene. Sto incontrando le associazioni professionali, perché l’impegno dei datori di lavoro è prezioso ed è una ricchezza per il sistema; per le piccole aziende dello stesso settore, occorre potenziare le reti di condivisone dei posti di apprendistato.

In passato, i datori di lavoro hanno criticato l’orientamento professionale...

Orientare non significa indirizzare i giovani prioritariamente verso i bisogni dell’economia, ma offrire loro un ventaglio di scelte affinché possano decidere che strada seguire, compresa la possibilità di un impiego professionale a corto o medio termine.

Teme che la manovra di rientro finanziario intacchi la pedagogia speciale?

Il modello delle classi inclusive, dove l’integrazione è possibile grazie a sostegni pedagogici, è un esempio per il resto della Svizzera, al punto che alcuni Cantoni romandi lo stanno studiando per replicarlo. Su questo punto non possiamo fare un passo indietro. Il DECS si sta impegnando nell’analisi di altre voci di spesa per contribuire ai risparmi richiesti che però devono essere equilibrati. La formazione ha un ruolo strategico per il Cantone e deve essere considerata un investimento.

Appena in carica ha dovuto affrontare la questione dei sussidi alle istituzioni teatrali e delle arti sceniche: qual è la sua risposta?

Mi sto confrontando con gli operatori dei diversi settori culturali per sentire il loro bisogni ed entro fine anno sviluppare le linee guida sulla politica culturale del Cantone. Voglio discutere con i protagonisti di questa realtà i criteri per i sussidi che devono basarsi su motivazioni chiare, sulla qualità, riconoscere gli operatori affermati, ma anche i giovani emergenti.

Si è pronunciata anche sull’annoso problema dei luoghi per la cultura indipendente. Come si muoverà?

Il 5 ottobre ci sarà la Conferenza cantonale sulla cultura, dove sono rappresentate le città e alcune istituzioni, proprio su questo tema. La allargherò anche a rappresentanti operatori culturali indipendenti, in modo che questi ultimi possano dialogare con chi gli spazi li può mettere a disposizione. Il momento è propizio, anche perché proposte quella de La Tour Vagabonde con La Straordinaria ha cambiato la nostra percezione su cosa sia la cultura indipendente.

Tralascerei la “s” di sport nel suo Dipartimento “monstre” e finirei con la “f” di femminismo: unica donna in governo, manterrà una prospettiva di genere in questo suo ruolo?

Sullo sport avrei però qualcosa da dire. Bisogna sensibilizzare e informare di più sull’etica dello sport, per evitare gli stereotipi e abusi e violenze di ogni tipo. Poi serve più sostegno per le ragazze nelle discipline tradizionalmente maschili. La “s” si intreccia con la “f” e la “f” si intreccia con tutto il resto, perché lo sguardo di genere sarà sempre in pista: ho già iniziato a promuovere una lingua più inclusiva e continuerò a impegnarmi per scardinare l’idea che esistano mestieri solo femminili o maschili nell’educazione alle scelte professionali.

Intervista di Isabella Visetti apparsa su Cooperazione, N°34 del 22 agosto 2023.

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